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Dimissioni per fatti concludenti: novità del “collegato lavoro”

Tempo lettura: 6 minutiLe dimissioni per fatti concludenti sono normate con la procedura introdotta dall’articolo 19 della Legge 203/2024 che prevede la possibilità di formalizzare tramite comunicazione datoriale all’INL la risoluzione del rapporto di lavoro nel caso di assenza ingiustificata del dipend

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Dimissioni per fatti concludenti: novità del “collegato lavoro”

Le dimissioni per fatti concludenti sono normate con la procedura introdotta dall’articolo 19 della Legge 203/2024 rubricato “Norme in materia di risoluzione del rapporto di lavoro” che prevede la possibilità di formalizzare tramite comunicazione datoriale all’INL la risoluzione del rapporto di lavoro nel caso di assenza ingiustificata del dipendente.

La norma citata ha modificato l’articolo 26 del Decreto Legislativo 151/2015 che disciplina le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale, introducendo il comma 7 bis: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.

La nuova procedura di dimissioni per fatti concludenti ha la finalità di semplificare il riconoscimento delle dimissioni implicite e di contrastare i casi di assenza ingiustificata volta a ottenere un licenziamento disciplinare per poter così accedere all’indennità Naspi, altrimenti non spettante in caso di dimissioni volontarie.

Le cosiddette “dimissioni di fatto” comportano la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, senza la necessità delle dimissioni telematiche, a meno che il lavoratore non sia in grado di giustificare il motivo dell’assenza, ad esempio dimostrando con elementi concreti e documentati come certificazioni mediche o altre attestazioni ufficiali l’impossibilità di comunicare la propria assenza per cause di forza maggiore o per motivi imputabili al datore di lavoro.

Sulla base delle informazioni raccolte, l’INL potrà confermare la cessazione del rapporto o dichiararne l’inefficacia se dovessero emergere elementi contrari.

Ne consegue l’impossibilità per il lavoratore di poter accedere al trattamento Naspi e il venir meno per il datore di lavoro dell’obbligo di versare il ticket di licenziamento.

La formulazione della norma lascia alcune perplessità, di fatto non ancora completamente chiarite dalle successive indicazioni fornite dagli enti competenti circa la corretta procedura da seguire.

Dimissioni per fatti concludenti: i primi chiarimenti

Con la nota n. 579 del 22 gennaio 2025 l’INL ha delineato la procedura operativa per la gestione delle dimissioni per fatti concludenti precisando che:

– l’Ispettorato territorialmente competente per ricevere la comunicazione è quello nel quale si è svolto il rapporto di lavoro;

– la comunicazione va inviata solo qualora il datore di lavoro intenda far valere l’assenza ai fini della risoluzione del rapporto;

– la comunicazione va inviata tramite PEC all’indirizzo istituzionale della sede competente, preferibilmente tramite compilazione o con indicazione di tutti dati contenuti nel modello allegato alla nota (dati anagrafici del lavoratore e del datore di lavoro, recapiti, data di inizio rapporto, contratto applicato, inquadramento, ultimo giorno di effettivo lavoro);

– gli accertamenti sulla veridicità della comunicazione potranno essere svolti dall’INL tramite contatto con il lavoratore o con altro personale impiegato dal medesimo datore di lavoro, riguarderanno l’effettività dell’assenza del dipendente presso la sede di lavoro ma anche i motivi della mancata comunicazione e nel caso (non è imposto un obbligo) dovranno essere condotti con tempestività e concludersi entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione;

– decorso il periodo previsto dalla contrattazione collettiva o quello indicato dal legislatore ed effettuata la comunicazione, il datore di lavoro potrà procedere alla comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro;

– riscontrata la non veridicità della comunicazione l’INL provvederà a comunicare l’inefficacia della risoluzione sia al lavoratore – il quale avrà diritto ricostituzione del rapporto laddove il datore di lavoro abbia già provveduto alla trasmissione del relativo modello Unilav – sia al datore di lavoro possibilmente riscontrando, con lo stesso mezzo, la comunicazione via PEC ricevuta.

Dimissioni per fatti concludenti: dubbi operativi e sistematici

Per il computo dei giorni di assenza ingiustificata prudenzialmente appare opportuno partire dal giorno in cui il dipendente non si è presentato al lavoro e verificare il superamento del 15° giorno lavorativo, compreso il sabato se l’orario è distribuito su 6 giorni.

Quando e se i CCNL di settore regoleranno in modo specifico la fattispecie si potrà derogare la previsione dei 15 giorni; al momento tuttavia è discussa un’applicazione analogica delle norme del CCNL che disciplinano il computo dei giorni di assenza a fini della graduazione delle sanzioni disciplinari.

La data di risoluzione del rapporto di lavoro potrà essere indicata nel momento di recapito della ricevuta di consegna della PEC contenente la comunicazione o più prudentemente nel giorno di protocollazione della comunicazione da parte dell’INL (non sempre coincidente con la prima). A partire da tale momento potrà essere inviato anche il modello Unilav di cessazione, salva la ricostituzione del rapporto in conseguenza degli accertamenti dell’INL. Più prudentemente il datore di lavoro potrebbe attendere i 30 giorni concessi all’INL per definire la procedura, salvo questa volta il rischio di sanzioni per il ritardo nella comunicazione di cessazione rapporto oltre i 5 gg.

In ogni caso l’azienda può provvedere all’elaborazione del cedolino trattenendo le giornate di assenza e liquidando le competenze finali. Nel computo delle competenze finali non pare discutibile l’applicabilità, nei contratti a tempo indeterminato, della trattenuta per indennità di mancato preavviso ai sensi dell’articolo 2118 Codice Civile secondo comma.

Dubbia invece la modalità e la sorte di un’eventuale opposizione del datore di lavoro agli accertamenti e alle verifiche condotte dall’ITL sulla veridicità della comunicazione datoriale, stante l’incerta natura del provvedimento finale assunto dall’Ispettorato.

Del tutto incerta rimane l’obbligatorietà o la facoltà da parte del datore di lavoro, nei casi di assenza ingiustificata del lavoratore, di optare per la nuova procedura ex articolo 19 Legge 203/2024 piuttosto che per la procedura disciplinare; tanto più nelle more di ulteriori chiarimenti che potrebbero concretizzare la stessa finalità della normativa in esame, ovvero quella di dare certezza e stabilità alle casistiche di recesso per fatti concludenti del lavoratore che sino ad ora avevano trovato soluzione solo a seguito di accertamento giudiziale (Tribunale di Monza del 2 aprile 2019 e del Tribunale di Udine del 27 maggio 2022).

A tale proposito si rammenta che non risultano ancora indicazioni da parte degli Istituti sulla concessione della Naspi nel caso di licenziamento disciplinare comminato per assenza ingiustificata. Astrattamente infatti, qualora si ravvisasse una discrezionalità da parte del datore di lavoro sulla procedura da intraprendere, la stessa causale di recesso (assenza ingiustificata) potrebbe condurre alla concessione della disoccupazione nel caso di licenziamento disciplinare e al rigetto della stessa assistenza nel caso di dimissioni di fatto ex articolo 19 Legge 203/2024.

Il tenore letterale, la ratio della norma e le ricadute in termini di assistenza alla disoccupazione appena illustrate porterebbero a propendere per l’obbligatorietà della procedura di dimissioni per fatti concludenti ex articolo 19 Legge 203/2024. La contrazione della discrezionalità datoriale in termini disciplinari in questo caso potrebbe dirsi controbilanciata dal solo esonero al pagamento del ticket di licenziamento?    

 

I chiarimenti del Ministero del Lavoro nella nota n. 2504/2025 e la sentenza del Tribunale di Trento del 23 giugno 2025

 

A seguito dei chiarimenti richiesti dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro (CNO) il 10 aprile 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito, con nota n. 2504, precisazioni interpretative sulla procedura di “dimissioni per fatti concludenti”, introdotta dalla Legge n. 203/2024 (Collegato Lavoro), già oggetto di prime indicazioni da parte della circolare n. 6/2025.

 

Il termine minimo dei 15 giorni: tra norma e autonomia collettiva

 

La normativa prevede che il datore di lavoro possa attivare la procedura di dimissioni per fatti concludenti solo dopo un periodo di assenza ingiustificata non inferiore a quindici giorni. Tuttavia, la nota ministeriale chiarisce che tale termine assume natura residuale e non inderogabile, lasciando spazio all’autonomia della contrattazione collettiva, purché in senso migliorativo per il lavoratore.

Il Ministero specifica che, pur in assenza di un’espressa inderogabilità, la norma deve essere interpretata alla luce del principio di tutela del lavoratore, con l’obiettivo di prevenire utilizzi distorsivi o abusivi della procedura da parte del datore di lavoro.

Il principio è già stato recepito dal Tribunale di Trento in una interessante sentenza resa il 5 giugno 2025 avente ad oggetto il più complesso tema della applicabilità temporale della novella entrata in vigore il 12 gennaio 2025 e risolta, anche in questo caso, a favore del lavoratore sulla base di una rigorosa applicazione del principio tempus regict actum (in base al quale deve essere esclusa l’applicabilità della procedura ex art. 19 L. 203/2024 ai casi di assenze precedenti al vigore della norma).

 

Comunicazione all’Ispettorato e obblighi conseguenti

 

È stato inoltre chiarito che il datore di lavoro non può inviare la comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro prima del sedicesimo giorno di assenza ingiustificata. Tale comunicazione costituisce il dies a quo per il termine di cinque giorni utile all’invio della comunicazione obbligatoria di cessazione (UNILAV) al centro per l’impiego.

Tuttavia, il datore ha facoltà di formalizzare tale comunicazione anche in un momento successivo, lasciando dunque un certo margine operativo, purché venga rispettato il termine minimo indicato dalla legge.

 

Le ipotesi di contenzioso e il ruolo dell’Ispettorato

 

La nota affronta anche le conseguenze derivanti da un mancato ripristino del rapporto di lavoro da parte del datore, a fronte di un parere dell’Ispettorato che evidenzi l’insussistenza dei presupposti per la procedura. In tali casi il ripristino del rapporto deve avvenire su iniziativa del datore di lavoro, ma non ha carattere automatico.

Qualora il datore non riconosca le ragioni del lavoratore o non condivida l’esito dell’accertamento, non vi è alcun obbligo giuridico di ripristino, ferma restando la possibilità di contestazione nelle sedi competenti.

Diverso il caso in cui il lavoratore, successivamente all’avvio della procedura, presenti dimissioni volontarie o per giusta causa: queste prevalgono sulle dimissioni per fatti concludenti, modificando gli effetti giuridici della procedura.

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