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GDPR e aumento dei costi: l’allarme di Draghi alle imprese

Tempo lettura: 3 minutiDal 2016, anno di entrata in vigore del GDPR, i costi di conformità sono cresciuti a dismisura e le norme si sono moltiplicate, creando confusione e difficoltà diffuse. Quale bilancio costi/benefici?

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GDPR: tante buone intenzioni e risultati discutibili

Da quando è stato istituito, il GDPR, oltre a tutelare i dati personali dell’Europa, si è trovato a ottenere risultati diversi rispetto alle aspettative. L’armonizzazione dei dati ha lasciato spazio spesso a una moltiplicazione dei costi di gestione e a una frammentazione normativa che hanno inevitabilmente prodotto una crescente incertezza giuridica.

Questa presa di coscienza arriva da Mario Draghi, che lo scorso 9 settembre ha presentato a Bruxelles il rapporto sulla competitività in Europa. Draghi, oltre a denunciare in maniera diretta e precisa le problematiche create negli anni dal GDPR, ha anche aggiuntoo che l’eccesso di regolamentazione in questo campo sta uccidendo le piccole aziende tech (e non solo tech, a dire il vero) in Europa.

Vediamo quali sono i dati concreti di cui parla Mario Draghi.

GDPR: quali sono i costi di adeguamento?

L’adeguamento a quanto stabilito dal GDPR non è soltanto una questione di impegno e di buona volontà da parte dell’impresa. I costi, difatti, sono molto alti, a volte proibitivi, e in rapida crescita.

Il Report di Mario Draghi, d’altro canto, ci rivela che una azienda di medie dimensioni, infatti, con circa 500 dipendenti, per adeguarsi a quanto previsto dal GDPR si trova a dover spendere in media circa 1,3 milioni di euro. In questa cifra sono comprese varie misure, tra cui l’aggiornamento delle politiche aziendali, lo sviluppo di sistemi per evitare la violazione di dati sensibili e il costo per la nomina di un DPO (Data Protection officer). Il dato però forse più preoccupante non tanto, o non solo, quello relativo alle medie e grandi aziende, bensì quello che riguarda le piccole imprese, che si trovano a dover far fronte a costi spesso difficilmente sostenibili.

I costi delle aziende che operano in settori in cui i dati sono maggiormente utilizzati subiscono un incremento pari al 24%. Non va meglio per settori con meno intensità di dati, quali ad esempio produzione e servizi, che vedono un amento dei costi del 18%.

Altro dato interessante è che, a fronte di questa enorme pressione finanziaria e dell’aumento dei costi, le aziende europee hanno iniziato a ridurre il volume di dati conservati, con un decremento pari al 26% per lo stoccaggio dei dati e del 15% rispetto ai concorrenti statunitensi.

 

GDPR: cosa dice il Rapporto Draghi?

Nella sua esposizione, il Rapporto Draghi mappa tre aree d’azione necessarie per le imprese europee: colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina investendo nelle tecnologie; un Piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività; l’aumento della sicurezza e la riduzione delle dipendenze.

Di queste tre aree, l’innovazione è certamente la più decisiva per consentire all’Europa di aumentare i propri tassi di crescita e ridurre gradualmente il gap con Stati Uniti e Cina.

Nel suo lungo e dettagliato Rapporto, Mario Draghi critica poi la frammentazione dei fondi e le barriere burocratiche e normative ad oggi presenti, proponendo un’unione di risorse e una legislazione armonizzata capace di superare tutte le differenze legislative attualmente in vigore.

Altro auspicio fondamentale espresso da Draghi è che vengano previsti più fondi europei per lo sviluppo del settore di armi e difesa, per ridurre la dipendenza da fornitori stranieri.

«Il fabbisogno finanziario necessario all’UE per raggiungere i suoi obiettivi è enorme», ha affermato Draghi, secondo cui, per raggiungere gli obiettivi indicati nel rapporto, «sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui».

Una serie di investimenti, insomma, veramente notevole, paragonabile a una specie di nuovo Piano Marshall volto a lanciare la sfida europea ai grandi colossi mondiali antagonisti.

Inoltre, il Report suggerisce progetti comuni e incentivi per sostenere tecnologie avanzate e startup, promuovendo la competitività europea.

Nella sostanza, dunque, Draghi boccia in toto l’innovazione tech della Ue e salva solo due modelli: Cern e Euro-Hpc

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