Locazione commerciale: il conduttore moroso non può farsi scudo con la crisi da pandemia

Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 16 dicembre 2020, ha escluso che il conduttore moroso possa giustificare il proprio inadempimento alla “grave crisi scaturita dalla pandemia” e ai relativi provvedimenti – pur in presenza di un notevole calo di fatturato – e, pertanto, ha escluso la sussistenza di gravi ragioni che potessero impedire il rilascio dell’immobile commerciale.

In particolare, il Giudice di Roma ha valorizzato come omissione la mancata impugnazione, da parte del conduttore, dei DPCM relativi ai lockdown e, aderendo all’autorevole dottrina che ritiene illegittimo e contrario alla Costituzione l’uso di atti amministrativi – quali sono, appunto, i DPCM – per restringere libertà fondamentali, ha ritenuto che la parte che non li impugna contribuisce a causare le conseguenze negative sulla piena utilizzabilità dell’immobile e, di conseguenza, non può invocare la propria buona fede nell’inadempimento.

Il Giudice di Roma ha ribadito che l’emergenza sanitaria non è “di per sé condizione impediente in termini assoluti” l’adempimento contrattuale, mentre lo sono i provvedimenti normativi adottati durante l’emergenza, che hanno inciso sui diritti e sulle libertà fondamentali dei cittadini. Ritenendo che l’affittuario avrebbe potuto superare tale compressione impugnando i provvedimenti illegittimi e lesivi delle proprie libertà, il Giudice ha pertanto rilevato l’omissione imputabile all’affittuario e l’impossibilità, per quest’ultimo, di giustificare il proprio l’inadempimento.

Il Giudice ha osservato che (i) nelle obbligazioni di pagamento dei canoni di locazione è esclusa un’impossibilità di adempiere, anche parzialmente, (ii) il principio di buona fede nell’inadempimento può essere invocato solo come argomento “suppletivo e residuale” e (iii)il magistrato non può correggere la volontà delle parti quand’anche le scelte di queste gli appaiano incongrue”.

Sul punto, il Giudice di Roma ha richiamato la relazione 56/2020 dell’ufficio del massimario della Corte di Cassazione sulle “Novità normative sostanziali del diritto emergenziale anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale” che suggerisce la rinegoziazione del contratto divenuto squilibrato a seguito delle misure anti Covid-19, rimettendola all’autonomia delle parti e relegando l’intervento del giudice di merito – che non può sostituirsi alla volontà della parti – all’ipotesi in cui dal contratto emergano i termini nei quali le parti hanno voluto suddividere il rischio che deriva dall’esecuzione del contratto stesso.

Nel caso di specie, il Giudice ha escluso la violazione dell’obbligo del locatore di mantenere il locale in condizione di essere utilizzato dal conduttore, ha rilevato che il divieto temporaneo di esercitare l’attività non determinava, per il conduttore, l’impossibilità di utilizzare l’immobile, ma, semmai, un’impossibilità sopravvenuta solo parziale e temporanea, e ha escluso che il conduttore potesse invocare la buona fede a giustificazione del proprio inadempimento riconducibile, invece, alla mancata impugnazione dei provvedimenti illegittimi e lesivi dei propri diritti e libertà.

Il giudice ha rilevato, infine, che con le misure straordinarie anti Covid-19 il legislatore ha previsto e introdotto il credito d’imposta a favore del conduttore sugli affitti effettivamente versati, senza intervenire direttamente sui rapporti locatizi privati. Tale scelta esclude la possibilità, per il conduttore beneficiario dei ristori, di invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta nell’esecuzione del contratto rilevante ai fini dell’eventuale risoluzione. Al tempo stesso, il bonus fiscale riconosciuto al conduttore conferma l’intangibilità del rapporto contrattuale, rimesso alla sola volontà dei contraenti.

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