Oggetti connessi, Internet of Things e altre diavolerie informatiche

oggetti connessi

Il mercato degli oggetti connessi (Internet of Things) è vivo, pieno di applicazioni pratiche e in forte crescita. Ma a quale costo?

Oggetti connessi o Internet of Things?

Negli ultimi anni si sparla spesso di oggetti connessi, ovvero quelle applicazioni che ci permettono di dialogare con le cose rendendo più agevole e immediata la vita di tutti i giorni. Ed è per questo che, oltre a oggetti connessi, ci si riferisce a Internet of Things, che ha come acronimo IoT (o Internet delle Cose).

Si tratta, quindi, di tutti quegli oggetti intelligenti (detti anche “smart objects”) che non riguardano solo computer, smartphone e tablet, ma anche le cose che ci circondano nelle nostre case, negli uffici, sui luoghi di lavoro, nelle nostre città e, più in generale, nella vita di tutti i giorni.

Il tema degli oggetti connessi è attuale e scottante, perché una ricerca dell’Osservatorio IoT dimostra che si tratta di un mercato maturo e molto produttivo, capace di generare circa 8,3 miliardi di euro l’anno, con gli indicatori in forte crescita.

Oggetti connessi e intelligenza

Termostati collegati, elettrodomestici che dialogano a distanza, impianti produttivi evoluti, dispositivi mediali di emergenza, automobili all’avanguardia, sono tutti oggetti smart in grado di connettersi a una rete Internet al fine di elaborare dati e scambiare informazioni con altri oggetti, per velocizzare o migliorare determinati comportamenti e reazioni. Quello che però fa la differenza è l’intelligenza degli oggetti connessi. Ma quand’è che possiamo davvero parlare di oggetti connessi intelligenti?

Gli oggetti connessi devono essere, innanzitutto, dotati di un identificativo univoco nel mondo digitale, e devono, per l’appunto, essere sempre connessi, ovvero collegati in rete, per poter trasmettere e ricevere informazioni.

In presenza di questi due requisiti, possiamo parlare di oggetti connessi smart, ovvero intelligenti.

Oggetti connessi e applicazioni quotidiane

Tra gli oggetti connessi più diffusi, le automobili intelligenti in grado di dialogare in tempo reale con centri di elaborazione dati per comunicare al guidatore traffico, eventuali incidenti, strade alternative da percorrere o per condividere parametri di sicurezza (come il tempo, ad esempio) e comportamenti da tenere per evitare inutili rischi.

Gli oggetti connessi già di uso comune sono i box GPS/GPRS utilizzati per la localizzazione e la registrazione di parametri di guida, usati già da tempo in ambito assicurativo anche per ridurre l’entità del premio annuo pagato.

Altro ambito interessante degli oggetti connessi riguarda la domotica, ovvero la possibilità di interagire per automatizzare, controllare e rendere più efficienti elementi domestici di uso comune, come l’erogazione acqua, l’utilizzo dell’elettricità, degli interruttori, delle aspirapolveri, degli impianti di climatizzazione, dei lavapavimenti, dei tosaerba, degli impianti di irrigazione, nonché di lavastoviglie, forni, centraline meteo WiFi o altri dispositivi di sicurezza quali antifurto o sistemi anti intrusione.

Sono tutti oggetti connessi attivabili dall’uomo anche con comando vocale (basti pensare agli applicativi sviluppati da Google e da Amazon Alexa, entrambi ulteriormente connessi ad altri sistemi smart, in una rete sempre più fitta).

Insomma un mare magnum di cose e di sistemi creati per migliorare la vita all’uomo, capace però di aprire tante questioni giuridiche, relative alla privacy e non solo.

Oggetti connessi: la privacy ai tempi dell’aspirapolvere Amazon

In attesa dell’entrata in vigore dell’AI Act, il Regolamento con cui l’Unione Europea persegue l’obiettivo ambizioso di disciplinare l’intelligenza artificiale, gli oggetti connessi hanno già creato qualche grattacapo alle Autorità europee. D’altronde, se il Garante privacy dedica una pagina del proprio sito istituzionale agli oggetti connessi, un motivo dovrà pur esserci.

Il caso recente più eclatante ha riguardo l’aspirapolvere Roomba di Amazon che, stando a quanto abbiamo appreso dai giornali, sarebbe un oggetto digitale capace di scattare fotografie nei nostri ambienti domestici o, comunque, di consentire ad Amazon di creare inferenze di dati utili alla propria attività commerciale. Ad esempio, grazie ai dati raccolti da questo oggetto digitale, Amazon potrebbe suggerire all’utilizzatore determinati prodotti selezionati sul proprio marketplace, raccogliendo quindi dati per affinare la profilazione degli utenti/clienti.

La vicenda è una rappresentazione perfetta dei problemi aperti che riguardano gli oggetti digitali (e non solo) sul versante privacy.

Fino a che punto l’utente dell’oggetto intelligente ha veramente la consapevolezza dell’utilizzo che viene fatto dei dati raccolti dall’oggetto digitale? È giusto che l’utente diventi un prodotto vivente?

E anche quando l’avesse, fino a che punto può fare a meno dell’oggetto intelligente e/o del servizio in questione? Se Spotify inizia a registrare i suoni prodotti mentre ascolto musica per tracciare le mie emozioni e affinare i suggerimenti musicali dell’app, posso “permettermi” di fare a meno di Spotify?

Tutti interrogativi da sempre presenti nella data economy e che non nascono con gli oggetti intelligenti.

Per non parlare della domanda delle domande che si intreccia a questi temi: è giusto che l’utente non possa monetizzare i propri dati personali?

Tutte domande a cui il GDPR dà una risposta chiara ma che fatica sempre di più a stare al passo coi tempi.

Oggetti connessi: quale futuro?

Come già detto, il mercato degli oggetti connessi è in forte crescita.

Secondo quanto pubblicato dall’Osservatorio IoT (Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano), infatti, solo nel 2022 il mercato di questi oggetti intelligenti è cresciuto del 13% rispetto al 2021, giungendo alla ragguardevole cifra di 8,3 miliardi di euro.

Un dato forse non sorprendente ma davvero di tutto rispetto, tenuto conto anche delle carenze di materie prime legate ai semiconduttori, effetto della recente guerra in Ucraina.

In Italia gli oggetti connessi attivi sono 124 milioni, con una media di 2,1 per abitante, mentre l’incremento massimo riguarda le automobili smart, che crescono del 17% attestandosi su un fatturato di 1,4 miliardi di euro.

A seguire, troviamo

le utility (1,37 miliardi di euro),

le applicazioni riguardanti gli edifici intelligenti (1,3 miliardi di euro),

le smart city (830 milioni),

le fabbriche (circa 780 milioni),

la casa in generale (770 milioni),

la logistica (715 milioni) e infine

l’agricoltura (540 milioni).

Tra gli oggetti intelligenti, gli ambiti che crescono maggiormente riguardano l’agricoltura (+32%), l’industria (+22%) e gli edifici (+19%).

Un mercato, dunque, vivo e in grande evoluzione, che nei prossimi anni porterà gli oggetti connessi a cifre che oggi, forse, nemmeno possiamo immaginare. Occorrerà come sempre bilanciare i temi del miglioramento della vita, della qualità della vita, della sicurezza sul lavoro e della circolazione stradale (per dirne alcuni) con quelli della privacy e della riservatezza, anche industriale.

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