231: per l’infortunio del dipendente la sanzione non è automatica
In caso di reato-presupposto commesso dall’apicale la responsabilità amministrativa dell’ente non è automatica: occorre che sussistano specifici presupposti dell’illecito che è onere dell’accusa provare.
Con la sentenza n. 39615/2022, la Corte di Cassazione si pronuncia in materia di responsabilità 231, affermando che sussiste solo in presenza di determinati elementi oggettivi e soggettivi individuati dal Decreto Legislativo n. 231/2001, che peraltro devono essere declinati tenendo conto della specificità del reato-presupposto commesso.
Nel caso di specie, si tratta del delitto di lesioni aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche, realizzatosi a seguito dell’infortunio occorso in orario notturno a un dipendente della società, in forza del quale quest’ultima era stata condannata alla sanzione pecuniaria di 100.000 euro. Per i giudici di merito, i quali avevano confermato l’impianto accusatorio, la scelta di effettuare la specifica lavorazione che aveva dato luogo al sinistro era stata dettata dalla necessità di non rallentare la produzione, evitando così di ridurre i profitti.
La Cassazione ha precisato come, ai fini della condanna 231 dell’ente, occorre che il reato, rientrante tra quelli selezionati dal legislatore nel “Catalogo 231”, sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dello stesso, criteri questi di imputazione obiettiva del reato all’ente diversi e alternativi.
L’interesse è un criterio soggettivo e rappresenta l’intento del soggetto agente di arrecare mediante la commissione del reato un beneficio all’ente. Nei reati colposi d’evento, come quello in questione, l’interesse sussiste solo se si accerta la consapevole violazione delle norme antinfortunistiche da parte del soggetto agente, in quanto è proprio da tale violazione che la persona fisica ritiene di poter trarre un beneficio economico per l’ente, ossia un risparmio di spesa, che può anche non verificarsi in concreto.
Diversamente, il vantaggio è un criterio oggettivo, che non è legato all’accertamento della volontaria violazione delle regole cautelari da parte del soggetto agente, ma deve comportare la realizzazione di un profitto in capo all’ente che non può essere irrisorio. Pertanto, il vantaggio per l’ente si realizza solo in caso di sistematica violazione delle norme prevenzionistiche, la quale consente di conseguire una effettiva riduzione dei costi e un contenimento della spesa, con conseguente massimizzazione del profitto.
Inoltre, ai fini dell’irrogazione della sanzione 231 all’ente occorre l’accertamento di una concreta colpa di organizzazione, ossia di un deficit dell’assetto organizzativo della società nella prevenzione dei reati, e il nesso di causalità tra detta colpa organizzativa e l’effettiva verificazione del reato.
Sotto questo profilo, la mancata adozione o l’inefficace attuazione di specifici modelli 231 non possono assurgere ad elemento costitutivo dell’illecito 231, pur integrando una circostanza atta ex lege a dimostrare la sussistenza di detta colpa di organizzazione, fatta salva la possibilità per l’ente di dimostrare l’assenza di tale colpa e, in ogni caso, l’assenza di un effettivo nesso causale con la commissione del reato.
Detti elementi, ossia l’interesse, il vantaggio, la colpa di organizzazione, nonché l’incidenza causale di quest’ultima sul reato-presupposto, devono essere provati dall’accusa, non sussistendo alcun automatismo tra illecito 231 e reato-presupposto neanche nell’ipotesi in cui quest’ultimo sia stato commesso dall’apicale della società.