Nel furto di dati personali il dipendente in smart working non è l’unico responsabile

Il Tribunale amministrativo provinciale di Varsavia ha confermato con sentenza del 13 maggio scorso il provvedimento del Garante polacco e la sanzione di circa 11mila euro irrogata a un ateneo locale, per non aver adottato misure tecniche e organizzative sufficienti a prevenire l’esposizione di un ingente quantitativo di dati personali di studenti.

Se infatti, l’università aveva attribuito la colpa al dipendente in smart working, il quale, oltre a subire il furto del proprio notebook, aveva conservato i dati personali poi diffusi oltre il periodo massimo di tre mesi stabilito per il trattamento e la conservazione, il tribunale ha tuttavia ritenuto sussistere la responsabilità dell’ateneo in quanto titolare del trattamento. Il dipendente avrebbe infatti operato svolgendo le proprie mansioni nell’alveo degli scopi e delle modalità di trattamento definite dall'istituzione: le sue azioni (e negligenze) sono state dai giudici considerate imputabili al datore di lavoro, che ne è quindi stato ritenuto responsabile, anche se colposamente.

La vicenda polacca pone sotto i riflettori, ancora una volta, il problema della protezione di dati presenti sul computer personale del dipendente. Il datore di lavoro che autorizzi la resa di prestazione lavorative a distanza e mediante digital device privati dovrà indubbiamente tenere in conto il rischio insito in tali operazioni, approntandone l’adeguata analisi e valutazione richiesta dall'articolo 32 del GDPR. Seguirà la predisposizione di misure tecniche e organizzative di protezione dei dati personali, in particolare dal rischio di esportazione non autorizzata o intenzionale sottrazione degli stessi, ma non solo.

L’utilizzo di dispositivi mobili in uso ai dipendenti, fenomeno conosciuto sotto l’acronimo BYOD, cioè “Bring your own device” (in italiano “Portare il proprio dispositivo”), richiede un livello di approfondimento e dettaglio superiore, completo di prescrizioni vincolanti per i lavoratori (e controllo nei limiti di legge) affinché siano adottate tutte le cautele necessarie, comprese stringenti discipline di memorizzazione e di archiviazione dei dati personali.

Ecco dunque l’obbligo di scrivere una BIA, cioè “Byod Impact Assessment”, un documento ormai imprescindibile nella normativa privacy applicabile a imprese, scuole e pubbliche amministrazioni.

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